Quel botto l’ho risentito tante volte, gli anni dopo. Almeno tutte quelle in cui mi sono occupato di terremoti, come in Umbria o in Abruzzo, o di attentati da macellai, come a Nassirya. Ma la volta che ha rimbombato nella testa è stato quando gli aerei della follia e della esaltazione hanno atterrato le Torri Gemelle.
Via dei Georgofili è stata il nostro 11 settembre, con qualche anno di anticipo. In entrambi i casi un attentato che nei primi minuti pareva senza senso e che poi un senso, tragico, lo avevano. Quella bomba è stata la perdita dell’innocenza per una città che, a dire il vero, proprio innocente in senso stretto non è mai stata. Ma che pensava di vivere e sopravvivere a qualsiasi avversità, forte delle sue origini di supremazia nelle arti e di un tessuto civile ammirato ovunque, e soprattutto di godere di una sorta di intoccabilità.
La guerra aveva risparmiato Ponte Vecchio. Figurarsi se poteva succedere di peggio. Forse, come ogni buon fiorentino, fu questo ragionamento a farmi sperare (sperare?) che davvero si trattasse di una fuga di gas. Nonostante i morti e la devastazioni restava, sebbene per poco, la speranza che non fosse stata una decisione dell’uomo, ma del destino, a causare quell’inferno. Le prime ore dopo l’alba spazzarono via quel filo di illusione. E a farne definitivamente giustizia furono le indagini di uomini coraggiosi che condussero un’inchiesta che, alle prime, ci sembrava fantascientifica. Che c’entra Firenze con la mafia? È roba lontana, di altre regioni e di altre ragioni. E, se può esserlo, la ferita è stata ancora più profonda, più difficile da rimarginare, quando una dietro l’altra come tessere di un domino, è stato ricostruito il chi ed il come, forse anche il perché, di un’azione simile. Forse è rimozione, o forse perché la memoria è meno antica, sebbene di poco, ma più che i calcinacci e la polvere è l’aula bunker di Firenze che mi viene subito in mente pensandoci. Le gabbie degli imputati, i paraventi, o paraniente, dietro ai quali i pentiti rivelavano schemi e logiche da brividi, la cocciutaggine di Vigna e di Chelazzi e degli investigatori al lavoro tra centinaia di faldoni. Tutto questo non ridà la vita, così come le pietre si rimettono al loro posto e le persone no, ma almeno ci aiuta a capire perché sia stato possibile svegliarsi nella notte con il cuore in gola e gli orecchi che, come il cuore, fanno ancora male.
Stefano Fabbri
Capo Redattore Ansa Toscana