giovedì 23 maggio 2013

FU IL NOSTRO 11 SETTEMBRE




Quel botto l’ho risentito tante volte, gli anni dopo. Almeno tutte quelle in cui mi sono occupato di terremoti, come in Umbria o in Abruzzo, o di attentati da macellai, come a Nassirya. Ma la volta che ha rimbombato nella testa è stato quando gli aerei della follia e della esaltazione hanno atterrato le Torri Gemelle.


Via dei Georgofili è stata il nostro 11 settembre, con qualche anno di anticipo. In entrambi i casi un attentato che nei primi minuti pareva senza senso e che poi un senso, tragico, lo avevano. Quella bomba è stata la perdita dell’innocenza per una città che, a dire il vero, proprio innocente in senso stretto non è mai stata. Ma che pensava di vivere e sopravvivere a qualsiasi avversità, forte delle sue origini di supremazia nelle arti e di un tessuto civile ammirato ovunque, e soprattutto di godere di una sorta di intoccabilità. 
La guerra aveva risparmiato Ponte Vecchio. Figurarsi se poteva succedere di peggio. Forse, come ogni buon fiorentino, fu questo ragionamento a farmi sperare (sperare?) che davvero si trattasse di una fuga di gas. Nonostante i morti e la devastazioni restava, sebbene per poco, la speranza che non fosse stata una decisione dell’uomo, ma del destino, a causare quell’inferno. Le prime ore dopo l’alba spazzarono via quel filo di illusione. E a farne definitivamente giustizia furono le indagini di uomini coraggiosi che condussero un’inchiesta che, alle prime, ci sembrava fantascientifica. Che c’entra Firenze con la mafia? È roba lontana, di altre regioni e di altre ragioni. E, se può esserlo, la ferita è stata ancora più profonda, più difficile da rimarginare, quando una dietro l’altra come tessere di un domino, è stato ricostruito il chi ed il come, forse anche il perché, di un’azione simile. Forse è rimozione, o forse perché la memoria è meno antica, sebbene di poco, ma più che i calcinacci e la polvere è l’aula bunker di Firenze che mi viene subito in mente pensandoci. Le gabbie degli imputati, i paraventi, o paraniente, dietro ai quali i pentiti rivelavano schemi e logiche da brividi, la cocciutaggine di Vigna e di Chelazzi e degli investigatori al lavoro tra centinaia di faldoni. Tutto questo non ridà la vita, così come le pietre si rimettono al loro posto e le persone no, ma almeno ci aiuta a capire perché sia stato possibile svegliarsi nella notte con il cuore in gola e gli orecchi che, come il cuore, fanno ancora male.

Stefano Fabbri
Capo Redattore Ansa Toscana